Spazi comuni e condominialità: fondamentale l’atto costitutivo del condominio
Possibile che quel documento contenga in modo chiaro e inequivocabile elementi tali da escludere l’alienazione del diritto di condominio
La presunzione di condominialità delle parti comuni, come elencate dal Codice Civile, può essere superata soltanto dalle contrarie risultanze dell’atto costitutivo del condominio, ossia dal primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto, purché contenga in modo chiaro e inequivocabile elementi tali da escludere l’alienazione del diritto di condominio, non essendo sufficiente un ragionamento deduttivo basato su formulazioni contrattuali passibili di interpretazione non univoca.
Questo il punto fermo fissato dai giudici (sentenza numero 27698 del 16 ottobre 2025 della Cassazione) alla luce del contenzioso sorto in uno stabile in provincia di Agrigento.
A dare il ‘la’ alla querelle è l’azione con cui una condòmina cita una coppia di coniugi, chiedendo che vengano condannati a rimuovere gli oggetti da loro collocati in prossimità della finestra contigua alle scale di accesso al loro appartamento, però nello spazio di esclusiva proprietà della condòmina, e a rimuovere il rubinetto collocato nell’area circostante la cisterna dell’acqua, alla quale hanno solo diritto di accedere per l’eventuale manutenzione, e, infine, a cessare l’attività di parcheggio della loro autovettura sul terreno di esclusiva proprietà della condòmina.
Per i giudici d’Appello la documentazione è illuminante: l’area circostante le unità immobiliari alienate ai due coniugi è di proprietà esclusiva della condòmina, e da tanto discende la condanna dei coniugi ad astenersi dal collocare oggetti in prossimità della finestra contigua alla scala di accesso al loro appartamento, nonché a rimuovere il rubinetto collocato nell’area circostante la cisterna idrica interrata nella proprietà della condòmina e, infine, a non usare detta area come parcheggio.
Questa decisione viene posta in discussione dai magistrati di Cassazione, i quali, in premessa, ricordano che, in tema di individuazione delle parti comuni, la presunzione operata dal Codice Civile non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condòmini, vincibile con qualsiasi prova contraria, potendo essere superata soltanto dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali. Tale presunzione – che si sostanzia, nel caso specifico, nella natura condominiale dello spazio contiguo alle scale di accesso alle proprietà dei due coniugi, della cisterna e dell’area ad essa circostante, nonché degli spazi riservati ai parcheggi – dispensa il condominio o i singoli condòmini dalla prova del diritto, essendo, piuttosto, onere del singolo condòmino, che pretenda l’appartenenza esclusiva di uno dei beni indicati dal Codice Civile, di dare prova della sua asserita proprietà individuale, senza che, tuttavia, a tal fine sia rilevante il titolo di acquisto proprio o del suo dante causa, ove non si tratti dell’atto costitutivo del condominio, ma di alienazione compiuta dall’iniziale unico proprietario che non si sia riservato l’esclusiva titolarità del bene.
Una volta che, in difetto di titolo derogatorio, sia sorta la comproprietà delle parti comuni dell’edificio indicate dal Codice Civile, per effetto della trascrizione dei singoli atti di acquisto di proprietà esclusiva – i quali comprendono pro quota, senza bisogno di specifica indicazione, le parti comuni – la situazione condominiale è opponibile ai terzi dalla data dell’eseguita formalità.
Va poi anche tenuto presente che l’individuazione delle parti comuni, emergente dal Codice Civile ed operante con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, non siano destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari, può essere superata soltanto dalle contrarie risultanze dell’atto costitutivo del condominio – ossia dal primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto, con conseguente frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali – ove questo contenga in modo chiaro e inequivoco elementi tali da escludere l’alienazione del diritto di condominio, non rilevando a tal fine quanto stabilito nel regolamento condominiale, ove non si tratti di regolamento allegato come parte integrante al primo atto d’acquisto trascritto, ovvero di regolamento espressione di autonomia negoziale, approvato o accettato col consenso individuale dei singoli condomini e volto perciò a costituire, modificare o trasferire i diritti attribuiti ai singoli condomini dagli atti di acquisto o dalle convenzioni.
Evidente, quindi, l’errore compiuto in Appello, poiché i giudici di secondo grado hanno tratto le deduzioni logiche che l’hanno condotta ad attribuire la proprietà esclusiva dell’area circostante alla proprietà della condòmina non già dal titolo che ha dato luogo alla formazione del supercondominio bensì dal primo dei due atti di compravendita consecutivi con i quali era stato costituito il condominio ed erano state attribuite le diverse unità immobiliari.